Da quando si è cominciata una ricognizione critica degli opachi connubi relativi alle gestioni in house negli ambiti dei servizi pubblici locali (SPL) il contesto generale ha avuto un’accelerazione. Questi servizi sono molti e cruciali nella vita dei cittadini: i trasporti, la distribuzione di gas, acqua ed energia, la raccolta dei rifiuti, il ciclo idrico, e così via. Ne fa fede l’avvio delle prime gare per il servizio di distribuzione del gas, in alcuni ambiti particolarmente virtuosi come Udine e Varese. Al netto dell’eternità necessaria, 15 anni, il percorso è stato impostato in modo ineccepibile e comporterà, in un quadro regolatorio solido, una selezione aziendale molto forte, l’attivazione di gare trasparenti e un premio alle capacità di innovazione e di efficienza organizzativa.
L’ostilità nei confronti del mercato fa parte di una famiglia piuttosto estesa di culture politiche e ha attraversato diverse fasi della storia italiana, dal socialismo municipale in età giolittiana, ai padri costituenti fino alle intemperate di Umberto Bossi a difesa dei salvadanai dei Comuni del Nord. In un indimenticato scritto nel 1992 su “Il mercato nella Costituzione” Giuliano Amato osserva, a questo proposito, che “è significativo che tanto nelle monografie, quanto nei manuali di diritto pubblico dell’economia sia regolarmente assente la tutela della concorrenza”. Pertanto, si tratta di rimuovere un macigno gigantesco che ha pietrificato per molto tempo persino le rappresentanze imprenditoriali intorno a una concezione concertativa e pedagogica del proprio ruolo di pubblica utilità, rimuovendo i meccanismi concorrenziali.
È invece di questi giorni una prevedibile ulteriore stretta alle società in house, o come si dice in termini più estensivi, alle “partecipate” dallo Stato alle Amministrazioni locali. Il decreto attuativo della Legge Madia sulla Pubblica Amministrazione in realtà proviene da un’altra direzione rispetto alla regolazione di mercato nell’assegnazione delle gestioni di SPL. Deriva, infatti, dalla strategia renziana di efficientamento della PA attraverso dosi obbligatorie di spending review. Le partecipate, infatti, soprattutto negli anni della crisi sono state utilizzate spesso per finalità del tutto improprie, come vie di fuga dagli obblighi del patto di stabilità, accumulando esposizioni debitorie senza alcun controllo e meccanismo sanzionatorio. Le peggiori performances, com’è noto, sono state realizzate in Campania nel settore dei trasporti. Il decreto Madia in approvazione obbliga alla dismissione di società con fini estranei al compito istituzionale; prive dei requisiti di efficienza, sostenibilità finanziaria e convenienza economica; quelle in cui quattro degli ultimi cinque bilanci chiudono in rosso; oppure che si sovrappongono ad altre; persino quelle in cui (e ce ne sono!) il numero di amministratori supera quello dei dipendenti. Come si vede qui si procede con l’imposizione amministrativa di criteri di efficienza, senza procedere alla costruzione di un quadro regolatorio con parametri di mercato evidenti.
Non si tratta di un’innovazione assoluta, già in diversi ambiti dei servizi, pensiamo a quello dei rifiuti, esiste un sistema simile: stabilisce che i costi del servizio vadano interamente coperti con la tariffazione degli utenti e che non superino una ragionevole soglia. Si presuppone una sorta di “terzo” valutatore (il politico?) capace di indicare la ragionevole soglia, invece di introdurre, attraverso il mercato un gioco tra gestore e utenti/clienti (i cittadini). Questa convinzione porta anche un manager pubblico di riconosciuta competenza, come l’AD di Veritas Andrea Razzini, ad affermare che: “Più in generale, se si potesse concedere che le aziende comunali fossero ben gestite, almeno per un momento, si potrebbe provare a non focalizzarsi nel censurarne la condotta ma, invece, a valutare i servizi che danno, i risultati che portano, i vantaggi che assicurano alla propria comunità, con una necessaria fredda oggettività” (“Servizi pubblici locali alla svolta: un caso” in RES Riformismo e solidarietà, n. 16, aprile 2015, pag. 32). Ebbene, non è tanto lo spartiacque ideologico tra pubblico e privato nella proprietà delle aziende di SPL che fa la differenza, ma il fatto che, indipendentemente da tale proprietà esista un quadro regolatorio che premi l’innovazione, l’efficienza e la qualità e, allo stesso tempo, sanzioni i manager incapaci, le assunzioni clientelari, le sacche di inefficienza se non di corruzione.
Editoriale di Luca Romano, pubblicato su VeneziePost di venerdi 15 gennaio 2016