Le primarie “recessive” di Trieste e la crisi del Pd Friul-Giuliano

Afferma un espertissimo conoscitore di cose friulano-giuliane che una piccola regione, tenuta insieme da un trattino è non solo artificiale, ma composita in un modo che facilmente slitta nel complicato. Per esempio dal fatto di non aver potuto istituire un dimensionamento di duplice provincia autonoma come per il Trentino e l’ Alto Adige, dove la “regione” è una finzione giuridica. La complicazione si fa labirinto, con la sedimentazione di culture e territori davvero diversissimi tra di loro e una Regione autonoma potente e infrastrutturata, ma ancora incapace di fare sintesi tra localismi così gelosi e aggressivi. Di queste fratture ne hanno risentito i  due Sindaci del centro sinistra delle città chiamate al voto in primavera. Seppure al primo mandato, Pedrotti a Pordenone e Cosolini a Trieste, il primo ha già abbandonato il campo a favore di una candidata di partito. Il secondo a fare le primarie “di riparazione”. E’ da indagare il perché, o i diversi perché, di queste rinunce, subite o volute. I Sindaci risultano l’anello debole che viene stressato verso direzioni opposte da una tenaglia che è allo stesso tempo amministrativa, istituzionale e politica.
Dal punto di vista amministrativo è inoppugnabile il fatto che fare il sindaco è diventato un compito difficile, proibitivo, ai limiti della frustrazione. Complice l’avvio della spending review e l’ennesimo stop al federalismo fiscale, è quasi impossibile impostare una vera e propria strategia di sviluppo. Prendiamo il caso di Pordenone, dove il decennio di Bolzonello ha comportato l’inaugurazione di un Teatro, di una Biblioteca, di due Centri Culturali, di una Galleria di Arte Contemporanea e di un Museo della Scienza. Un programma da metropoli europea per una città di 54.000 abitanti. Al successore – Claudio Pedrotti – che cosa rimaneva da fare, se non il gravosissimo compito di manutenzione di un patrimonio così ingente?
Le città sono molto più vecchie anagraficamente dei territori intorno e si riempiono di giorno di lavoratori e studenti che molto spesso abitano fuori dal loro perimetro amministrativo. Non è un caso che sia stato sollevato il tema di Trieste “metropolitana”: i gruppi più dinamici e giovani, quindi, vivono la città come mercato del lavoro, creatività e innovazione, consumi e divertimento ma non votano, in gran parte, alla scadenza amministrativa. Questo fatto ridimensiona il sex appeal elettorale dei temi dell’innovazione urbana e aumenta quelli del welfare assistenziale, della sicurezza e della paura dell’immigrazione, dei servizi per gli anziani.
Dal punto di vista politico, la verticalizzazione svuota i sistemi locali. Mentre la politica si indebolisce per fattori oggettivi, la gente chiede sempre di più in un meccanismo di rivendicazione che presto si trasforma in rabbia e in rassegnazione per le mancate risposte. Infatti, funzionano figure che più che a rappresentare il nuovo o il cambiamento guardano alla protezione e al caldo velluto identitario. E’ un fenomeno chiaramente osservabile in Veneto dove figure eminenti di amministratori cavalcano proprio questi afflati protettivi, identitari e securitari, senza perdere il sonno per i temi dello sviluppo e dell’innovazione.
Ma ciò che colpisce della situazione politica del Friuli Venezia Giulia è la scarsa consapevolezza nel PD della distanza siderale rispetto a cinque anni fa, quando la crisi del governo Berlusconi e una nuova domanda di partecipazione dal basso hanno assegnato un successo alla formula delle primarie “espansive”. Ricordate? Il meccanismo della “partecipazione” alle primarie bocciava regolarmente chi era designato dal segretario del PD in quella fase (Bersani), ma chi vinceva le primarie poi vinceva anche le elezioni. Quella spinta si è raffreddata e, a parte il profilo manageriale del candidato di Milano, che dopo l’Expò è una delle dieci città più importanti del mondo, è difficile contemperare l’esigenza di suscitare partecipazione dal basso, avere una dotazione di capitale politico proprio e, in più, soddisfare la catena decisionale di un partito verticalizzato.
La diarchia regionale basata su Serracchiani e Bolzonello mostra momenti di fragilità insospettati sia a fronte di fronde da fuoco amico, il ritorno dei “lettiani”, sia di divisioni che non hanno consentito la nascita di candidature forti, che avessero sia forza politica propria che un mandato di investitura congeniale al premier. Si rischiano primarie “recessive”, nate dalla difficoltà di decidere, dalla responsabilità di aver “mollato” i sindaci in carica, dalle divisioni vecchie e nuove che si annidano nella golden share del centrosinistra. E al di là dei meriti e delle qualità soggettive ciò offre delle chanches a Roberto Dipiazza a Trieste e a Alessandro Ciriani a Pordenone, i candidati di Centro destra.
Siamo alla fine di un ciclo storico. Nel Paese è completamente da ripensare una Repubblica delle città e delle autonomie territoriali. Forse non basta più il trattino a tenerli insieme.

Editoriale di Luca Romano, pubblicato su VeneziePost di lunedi 15 febbraio 2016

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