Le residenze per anziani: tra passato e futuro/3

Come sul dirsi nella fase della Grande Emergenza le ex case di Riposo, che voi URIPA avete ribattezzato Centri Servizi e non Residenze Sanitarie Assistenziali, sono state nell’occhio del ciclone come potenziali, e a volte reali focolai molto veloci di diffusione del contagio. Nell’introduzione il prof. Trabucchi invita a non dare uno sguardo provinciale, particolaristico, perché in tutto il mondo è stata accusata questa fragilità

Premetto che su tutta la drammatica vicenda della pandemia ci sarà da ragionare, con numeri alla mano e a mente fredda, perché tutti, me compreso, siamo dentro un coinvolgimento emotivo troppo forte per fare valutazioni già complete e circostanziate. Io sono qui in Fondazione Marzotto praticamente in modo ininterrotto dal 24 febbraio, notti e festivi compresi, con qualche raro passaggio a casa per il ricambio dei vestiti dividendomi di giorno alla gestione dell’Ente e fino a tarda notte a scrivere circolari e note di supporto agli Enti quale presidente dell’URIPA. Cerchiamo di ripercorrere le tappe salienti dall’inizio. La notizia del paziente 1 di Lodi ha colpito tutti noi amministratori e dirigenti di istituzioni di assistenti, perché è apparso subito chiaro che gli anziani potevano essere i soggetti più critici, il più alto numero di decessi si verificava tra gli ultraottantenni, per la senescenza del sistema immunitario e le patologie croniche pre esistenti. DI conseguenza proprio quel fatidico 24 febbraio, come URIPA, dopo uno scambio di opinioni con altri colleghi, formulo una serie di indicazioni alle istituzioni assistenziali, sottoponendole per conoscenza al Presidente Zaia, all’assessore Lanzarin e al Dirigente della Sanità regionale Mantoan. Le indicazioni erano di tre tipi: dissuadere i famigliari dal visitare i loro congiunti, diffusione capillare dei sistemi di protezione e organizzazione degli ambienti in sicurezza e la contestale chiusura dei centri diurni. Decisioni che sapevamo essere difficili da comprendere in quei momenti dove non vi era ancora, anche tra le istituzioni, la percezione di quello che sarebbe stato il problema e per questo ricorderete anche le critiche di quei giorni a questi nostri comportamenti.

Quindi, pare di capire, la diffusione della lettera avviene come una vostra iniziativa quasi autonoma, non avete ricevuto direttive dall’alto

Vorrei sottolineare tre aspetti: avevamo ricevuto il giorno precedente un’ordinanza contingibile e urgente del Ministro della Sanità e del Presidente della Regione che faceva riferimento ai Centri di Servizio per gli anziani in modo assolutamente marginale; ma noi come URIPA in una sorta di “disobbedienza civile” abbiamo dato indicazione di sigillare le strutture, ho usato proprio questo termine non molto ambiguo “sigillare”; terzo, in gran parte dell’emergenza, i nostri Centri sono rimasti “orfani” di una catena decisionale unica e dedicata, soprattutto i primi cinquanta giorni abbiamo dovuto auto – organizzarci, ricordo che in quei primi giorni molti di noi hanno fatto in casa le mascherine con i materiali più originali. E, questo fatto, spiega in buona misura l’eccezione veneta. Mi chiamano colleghi da tutta Italia e giornalisti di prima notorietà per capire come ha fatto il sistema veneto. Ma per adesso è bene mettere sotto i riflettori solo le azioni per battere questo nemico potentissimo e subdolo. Quella che viene chiamata eccezione veneta nasce dalla tempestività delle misure di protezione e, fondamentale, dal fatto che il personale era mentalmente pronto, concentrato. Lo dico adesso e lo ripeto, sono profondamente d’accordo con i premi che la Regione Veneto sta distribuendo al personale sanitario, ci mancherebbe, ma questo personale dei Centri Servizi si poteva premiare, un segnale andava dato, anche piccolo, ma andava dato. Pensa che nella nostra struttura, che comprende un asilo nido e materna, non avendo più i bambini per il lockdown alcune maestre ed educatrici si sono offerte di fare le volontarie e sono venute da noi a cucire mascherine e fare molte altre cose fondamentali! Ragionando sui dati, la raccolta è in via di completamento, e su oltre 350 strutture in Veneto abbiamo pochissime criticità, in molte strutture addirittura c’è una mortalità inferiore o uguale all’anno scorso. Nella media alla fine non credo che avremmo un incremento di decessi superiore del 3 – 4% rispetto al 2019, che, obiettivamente, è bassissimo se pensiamo ai numeri di altre regioni. Ma la mortalità era a crescere fin dal 2017. Certo, se pur basse sono le cifre del grande dolore se pensiamo a quanto sia stato  amplificato dal distanziamento affettivo perché non vi è stata la possibilità dell’ultimo saluto o meglio, la difficoltà, perché ricordo che in Veneto in molti casi siamo riusciti a garantire che questo potesse avvenire. E’ terribile.

Le direttive, in forma di Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità arrivano, infatti, a giochi fatti purtroppo. Ma oltre che tardive, sessanta giorni dopo l’inizio del caso Codogno, il 17 Aprile, hai preso posizione pubblicamente perché avevano degli aspetti irricevibili

 Confermo. Sono state concepite da menti che non conoscono come sono fatte le nostre residenze, quali dinamiche psicologiche esistono, i risvolti di alcune patologie. Imporre la mascherina a un malato di Alzheimer è impossibile, se la leva dopo mezzo secondo. Come pure vietare agli ospiti il ritrovo negli spazi comuni: pensa che ancor oggi dal 17 aprile noi dovremmo avere gli ospiti chiusi in camera! Immagina quanti avrebbero avuto la tentazione di buttarsi dalla finestra se non avessimo “disobbedito” anche a queste indicazioni. Come sempre assumendoci una responsabilità che le istituzioni non hanno avuto il coraggio di assumersi siamo arrivati fino a questi giorni con gli ospiti che in generale stanno e sono stati bene se questo si può dire dentro la cornice della non autosufficienza. Ribadisco il modello veneto dei nostri Centri Servizi, anche se oggi ci pare messo ingiustamente in discussione, forse per un disegno a noi oscuro, ha tenuto più che  altrove e questa cosa deve essere analizzata con oggettività ovvero con i numeri che difficilmente danno spazio alla “sensazioni”. Sicuramente vi sono state delle criticità e per questo l’analisi deve permetterci di tenere le tante cose fatte per bene e correggere gli errori.

Quali sono state le altre difficoltà, oltre a quelle di una latitanza dell’autorità superiore

 Non è molto noto ma va sottolineato il fatto che il Decreto Salva Italia ha creato per noi una situazione inaccettabile di disparità nei diritti dei lavoratori, non riconoscendoci lo status di servizio essenziale. Fino a quel decreto i Sindacati si erano visti poco, anzi non si erano proprio visti salvo quelli che io amo definire al pari di quelli “di un tempo”, dopo invece hanno cominciato a farci pervenire richieste arrivando a proporre ai dipendenti di autocertificarsi per stare a casa, per non parlare di chi scriveva anche alle procure e agli Spisal come fossimo capitani che mandavano in guerra i soldati senza armi. La dinamica dei diritti poteva mettere in ginocchio le strutture. Voglio chiarirlo bene che si sono visti due modi di essere del Sindacato, uno rivendicativo e ideologico, l’altro responsabile e collaborativo.  Inoltre, non essendo presidi sanitari avevamo difficoltà a far fare tamponi, a chiedere ricoveri d’urgenza o avere DPI sufficienti ed adeguati. Non dimentichiamo che già verso la fine di febbraio nelle case di riposo piovevano le dimissioni di personale infermieristico e di operatori socio – sanitari assunti dalle ULSS per l’emergenza, tutti ricordiamo di quei giorni. Visto che di quei giorni ricordiamo le parole di molti che citavano la guerra come esempio del contesto ecco, noi eravamo su una linea del fronte a combattere un nemico ben armato e i nostri soldati ci venivano portati via. Solo chi ha vissuto quei giorni può sapere quanto eroici siano state le nostre donne e i nostri ragazzi che facevano doppi turni, saltavano riposi e molto altro.

Il quadro che fai, anche per la velocità nel prendere decisioni e nel renderle operative, è molto migliore di quello che nel Paese, anche per una certa dose di aggressività mediatica, hanno restituito le residenze sanitarie, anche senza distinguere tra pubbliche e private.

 Vedo che usi il termine Residenze Sanitarie Assistenziali entrato ahimè nel lessico nazionale. In Veneto non è corretto, perché le nostre strutture se oggi sono para ospedali hanno ancora fortissima la radice sociale che caratterizza il sistema veneto servizio socio – sanitario. Per questo anni fa ci siamo battuti per chiamare le case di riposo e le IPAB Centri Servizi, una qualificazione più rispettosa di quell’identità che già allora guardava alla potenzialità di questi enti anche sul territorio. Cosa che però il nostro legislatore non ha più preso in considerazione. Ricordo il tema della filiera geriatrica territoriale. Parole e concetti volati via. E questa tradizione però, unita al sano pragmatismo gestionale ha dimostrato in tutta l’emergenza COVID la sua forza che sa guardare avanti, non indietro. In Lombardia, mi permetto di osservare che ci sono stati due problemi nelle RSA, il primo dovuto alla loro voluta configurazione sanitaria e il secondo, paradossale, di essere state abbandonate nel momento del bisogno dallo stesso sistema sanitario. Ricordo che da veneto quando nella nostra struttura di Mortara, in provincia di Pavia, abbiamo ricevuto la  PEC che ci chiedeva di ricoverare malati di COVID nelle RSA ho risposto con una sola parola nella pec di risposta “ irricevibile”!

Tornando al Veneto vediamo prima quello che non ha funzionato

 La prima ondata è stata la fase più dura. Mancavano indicazioni, mancavano le mascherine e i vari dispositivi di protezione, non eravamo pronti per le attività di screening, si è imparato facendo, l’apprendimento per fortuna è stato molto veloce. Su oltre 350 strutture in Veneto i casi critici sono non più di una dozzina. Si è parlato tanto del primo caso di Merlara, delle strutture di Conegliano, di Vittorio Veneto, di Casale, di Pedemonte e altre ma via via abbiamo capito molte cose, non ultimo che continuare ad allarmare con il numero degli ospiti contagiati è stato un grave errore visto il rapporto che questi numeri hanno poi rappresentato tra positivi e decessi.

Poi ci sono dinamiche sorprendenti come negli istituti religiosi dove abbiamo visto dinamiche opposte. Casa Gerosa di Bassano con 200 suore: zero contagi. Invece dalle Suore Dorotee a Vicenza numerosi contagi dipesi anche dalla impossibilità di sospendere tradizioni culturali radicatissime come raggrupparsi in preghiera piuttosto che le modalità dell’eucarestia. Sarà necessario studiare bene le dinamiche dei contagi e il formarsi dei focolai. Studiare in modo scientifico, per capire il fondamento di voci che si rincorrono, come quella degli impianti di riciclo dell’aria come causa di infezione o altre cose che si sono lette nei giornali spesso in modo non consono.

Concludiamo con quello che ha funzionato e le lezioni da trarne per il futuro

Partirei da che cosa non ha funzionato al meglio. La carenza di una regia unica regionale e non certo quella vista in questo periodo, quella che io ho definito dei 9 “regni” con regole dettate da ogni singola Azienda ULSS. Evitare sovrapposizioni di poteri tra regioni, governo, istituto superiore di sanità, spisal, nas e chi più ne ha, più ne metta! Oggi abbiamo coscienza di quanto è avvenuto e sappiamo che una emergenza si può arginare con azioni chiare, concertate e rapide. Regole e decisioni che vanno prese sapendo cosa sono e come funziona un Centro Servizi che è cosa ben diversa da un ospedale, da un albergo piuttosto che un condominio. Non possiamo, come in queste ultime settimane, avere gli esiti dei tamponi dopo 15 giorni! Cosa fare quindi? Dobbiamo come prima cosa indifferibile ed urgente formare almeno 3.000 operatori socio sanitari e personale infermieristico! Una seconda ondata senza i “soldati” non la reggeremmo. Anche sotto il profilo della comunicazione abbiamo visto quanto la metodologia del presidente Zaia sia stata efficace e rassicurante sul piano sanitario e sarebbe stato meglio averla in pari misura anche per l’area socio sanitaria.

Anche sui rapporti sindacali le regole andranno riscritte, non possiamo pensare di avere contro fuoco amico.

Cosa ha funzionato? Sicuramente abbiamo scoperto il valore, la dedizione e passione del nostro personale che ha saputo addirittura sostituirsi agli affetti delle famiglie che erano fuori e questo deve essere amplificato dalle istituzioni. Ricordiamoci che a gennaio tanti volevano le telecamere nelle nostre strutture come fossero piene di aguzzini! Quegli “aguzzini”, spero si sia capito, invece erano angeli! Abbiamo capito che anche sotto il profilo strutturale, cosa che chiediamo da anni, l’attuale modello legato a parametri vecchi di 30 anni è superato. Al pari dei modelli organizzativi i cui standard hanno la stessa età! Dobbiamo infine fare tesoro di dove e perché ha funzionato meglio il rapporto con i referenti sanitari, cito ad esempio l’Ulss 8 che la con guida del dott. Pavesi ha subito introdotto la metodologia del confronto con gli Enti, sapendo ascoltare le problematiche e porre in essere le azioni maggiormente efficaci. E i numeri ancora la volta lo testimonieranno. Abbiamo visto il valore associativo e la forma di governance informale dell’URIPA, che ci ha permesso scambi continui di consigli, di informazioni, di buone pratiche disseminate. Infine sarebbe molto interessante analizzare i dati che sono emersi in questi tre mesi in cui, interrompendo le visite per forza maggiore, gli ospiti presentano anche meno patologie extra COVID, per il venir meno dei contatti con portatori sani involontari. In certi casi abbiamo assistito anche ad una minore ansietà nevrotica e minor uso di farmaci. Questo non vuol dire che le porte delle nostre strutture devono rimanere chiuse ma forse una riflessione insieme ai nostri familiari e le istituzioni potrà essere opportuna.

Voglio infine chiudere con un pensiero per quelle famiglie a cui questo infame virus ha tolto i loro affetti più cari e dir loro che sono certo che le nostre ragazze e i nostri ragazzi nelle strutture hanno combattuto fino all’ultimo giorno per difendere le vite di questi ospiti. Ma questo “nemico era veramente spietato”.

Leggi i contributi di:

3 Replies to “Le residenze per anziani: tra passato e futuro/3”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *