Sull’acqua il Veneto è un modello. Da imitare

Ripercorrendo la vicenda della gestione dell’acqua veneta, la “principessa” dei servizi di pubblica utilità, per la sua natura di bene intrinsecamente vitale, mi è tornata in mente un’intervista pubblicata il 17 Maggio 2003 sul quotidiano “Europa”, che mi aveva concesso Giorgio Lago. L’indimenticato “giornalista-esploratore della Regione–laboratorio”, così si esprimeva: “Il territorio veneto…deve risolvere i suoi problemi con la tecnica politico-militare dell’intervento mirato, della responsabilità gestionale diffusa. Per questo sono un federalista radicale: l’unico potere che va bene a questo territorio deve nascere dal basso”. Un’affermazione totalmente controcorrente, soprattutto in tempi di ritorno alla grande di accentramento e dirigismo di rottamazione e di ristrutturazione.

Ma analizziamo da vicino la questione dell’acqua. Certo, è un bene che si presta immensamente ad essere definito “comune”; il suo destino gestionale pubblico è rafforzato da un referendum (12 Giugno 2011) dall’esito chiarissimo in senso antiprivatistico; alla sua estrazione, adduzione e depurazione sono immanenti funzioni di controllo delicatissime che a nessuno verrebbe in mente di affidare ai privati. Ma tutto ciò concesso, in barba anche a un approccio liberale sull’affidamento tramite gare ad evidenza pubblica dei servizi pubblici locali, va ammesso che nel settore idrico è in corso un esperimento di straordinario interesse, molto affine proprio al sentire di Lago.

Questo modello ha tre “motori” che trainano nella stessa direzione: sono i Sindaci che hanno integrato tutte le microsocietà acquedottistiche in house eredità del passato; è la logica consortile che presiede al raggruppamento dei gestori territoriali; è la cornice istituzionale della Regione Veneto che concorre, con Veneto Acque spa, al coordinamento e all’uniformazione parametrica delle azioni sui singoli contesti. La società consortile ViverAcqua nel 2015 ha raggiunto numeri da capogiro: 14 gestori soci, 530 Comuni rappresentati (su 579), 4.223.577 abitanti serviti e 681 milioni di produzione. Per capire la velocità del processo i numeri nel 2011 erano rispettivamente 2 gestori, 108 Comuni, 1.086.244 abitanti servizi e 128 milioni di fatturato.

Su questo terreno, dunque, i Sindaci hanno spinto senza remore e gelosie localistiche sull’integrazione; nelle assemblee danno un impulso strategico alla rete in piena coerenza con Veneto Acque, la società che ha ottenuto la concessione dalla Regione Veneto relativamente alla progettazione, esecuzione e gestione delle reti, delle strutture e delle opere connesse al servizio idrico integrato. In Veneto uno dei rarissimi casi in cui a un impulso partecipativo dal basso ha corrisposto una cornice unitaria del tutto congeniale. L’obiettivo comune è quello della costituzione di una “maglia” acquedottistica tutta interconnessa, comunicante e monitorata. In mezzo, tra i Sindaci e la società coordinata ad indirizzo pubblico, sta il capolavoro consortile dei gestori ViverAcque: sta mettendo a fattore comune praticamente tutto, dal coordinamento legale alla realizzazione delle infrastrutture, dal servizio su salute e sicurezza del lavoro ai progetti di ricerca, dalla formazione ai finanziamenti comunitari. Genera valore e da occupazione, ma presto le attività di formazione per un così prezioso know how troveranno sede in un’Academy interna. Persino, incredibile! della rappresentanza congiunta presso l’ autorithy! Alzi la mano chi ricorda un altro caso in cui il Veneto si presenta con UNA voce a Roma e a Bruxelles.

Una ulteriore innovazione è quella degli HydroBond, 150 milioni emessi dal Fondo previdenziale territoriale, altra gemma della capacità gestionale dei veneti di cui si parla troppo poco, Solidarietà Veneto: per capirci, soldi accantonati dai lavoratori dipendenti veneti che danno rendimenti integrativi alle future pensioni e che fruttificano con investimenti sul territorio. La leva finanziaria efficiente è a sostegno di un programma di investimento imponente (300 milioni) con 728 interventi previsti. Obiettivi strategici, non solo la rete interconnessa, ma soprattutto, la coltivazione delle falde a fronte di una preoccupante turbolenza meteorologica (leggi siccità) e il contrasto a fenomeni di inquinamento, come i PFAS.
Si può legittimamente parlare di un modello veneto di gestione dell’acqua? Certamente si, e i passi avanti compiuti nell’integrazione e nella solidità tecnica, organizzativa e finanziaria di questo settore lo mettono – speriamo – al riparo dall’ondata razionalizzatrice delle cosiddette “partecipate” del decreto Madia. Ed è invece lunga la lista dei servizi gestiti in house in una inefficiente babele di frammenti localistici, senza economie di scala, premialità e sanzioni a risultato: fiere e autostrade, trasporti e rifiuti, strade e fibra ottica. L’integrazione è riuscita negli aeroporti, ma grazie a un privato…

Editoriale di Luca Romano, pubblicato su VeneziePost di venerdi 5 febbraio 2016

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *