Professor Franco Mosconi con il Covid-19 il biomedicale è assurto a settore strategico di interesse nazionale, ma prima di addentrarci in questo, può raccontarci quali sono i più importanti settori di attività del distretto biomedicale mirandolese che lei ha studiato e fatto conoscere?
Tutto nacque nel 1962 per opera di un imprenditore visionario come Mario Veronesi: nel garage di casa sua, nel centro di Mirandola, si iniziarono a produrre i c.d. “disposables” in PVC (siringhe, flebo, ecc.). Dopodiché, decennio dopo decennio, le produzioni mirandolesi si sono sviluppate in senso sia quantitativo (gemmazione di nuove imprese, edificazione di aree industriali, arrivo di multinazionali straniere, ecc.), sia qualitativo (produzioni via via più sofisticate, come vedremo fra un attimo). Ebbene, con oltre un miliardo di fatturato aggregato e decine di imprese, il distretto è fra i primi in Europa e al mondo nella produzione di dispositivi plastici monouso per impiego in campo medico e, sempre più, di apparecchiature ad alta tecnologia utilizzate in diverse branche della sanità (rene artificiale, circuiti ematici per emodialisi, ossigenatori per cardiochirurgia, circuiti per anestesia e rianimazione, caschi per la ventilazione non invasiva). “Dal garage al distretto” è infatti il titolo che con Fabio Montella abbiamo voluto dare al libro pubblicato col Mulino alla fine del 2017.
Si tratta pertanto di un distretto ad alta innovazione e internazionalizzazione. Quali sono le modalità in cui queste vengono realizzate, come sono alimentate le risorse umane in termini di competenze?
Sì, giustissimo: innovazione e internazionalizzazione. Un ruolo centrale, come dicevo dianzi, è stato quello giocato dai capitali stranieri che sin dagli anni ’70 del secolo scorso sono sempre arrivati a Mirandola, rendendo questo distretto un caso speciale in tutt’Italia. Il legame delle imprese locali acquisite con i quartier generali (a seconda dei casi) in Francia, Svezia, Germania e Usa è stato indubbiamente uno dei canali di trasmissione per innalzare il livello tecnologico delle produzioni. Ma la comunità locale (Istituzioni, imprenditori, mondo dell’istruzione e dell’università) non è stata a guardare, anzi. Oggi esistono nel cuore del distretto sia un Istituto Tecnico Superiore sia un Tecnopolo, e solidi sono i rapporti col mondo accademico, in primis con l’Università di Modena e Reggio Emilia.
Nel primo periodo della pandemia abbiamo scoperto amaramente quanto sia forte la dipendenza estera di alcune produzioni, per esempio i dispositivi di protezione individuale. Quali sono le linee di evoluzione possibili del biomedicale anche in rapporto alle istituzioni, all’Università, al Sistema Sanitario ER e al CNR in termini di politiche dell’innovazione, di accorciamento delle filiere di fornitura?
Che più nessuno in Italia, neppure in Emilia-Romagna e Veneto (due grandi regioni manifatturiere, fortissime nelle produzioni del made in Italy), producesse mascherine, beh, la dice lunga su come è stata generalmente intesa la globalizzazione (leggi: taglio dei costi, di fatto del costo del lavoro). Nel contempo, va sottolineata la capacità di reazione di molti imprenditori che, con lo scoppio della pandemia, sono riusciti a “riconvertire” in brevissimo tempo le loro produzioni verso, per l’appunto, le mascherine, i camici, i gel e gli altri DPI. Ora, la grande tendenza – a giudizio di osservatori molto autorevoli – appare quella della “globalizzazione su scala regionale” con l’accorciamento delle filiere e il loro rafforzamento all’interno di ognuna delle tre grandi macro-regioni dell’economia globale (Europa, America, Asia). Non sarà, a ogni buon conto, un processo automatico: per quel che ci riguarda (l’Italia e l’UE), dovremo rafforzare in ciascuna delle nostre economie territoriali/distrettuali il dialogo fra il mondo scientifico-sanitario e il mondo dell’industria: un dialogo possibile e proficuo, come i giorni dell’emergenza ci hanno insegnato.
E in rapporto alle politiche sanitarie che si stanno profilando per il post pandemia? In Veneto stiamo cercando il modo di potenziare i centri di certificazione che autorizzano le produzioni che rispettano gli standard di sicurezza internazionali, ha notizia se in ER esiste già una procedura collaudata da questo punto di vista?
Fra i laboratori che la Regione Emilia-Romagna sin dalla fine di marzo ha scelto per – cito – “testare e dichiarare la conformità di mascherine chirurgiche agli standard” vi è significativamente proprio il Tecnopolo di Mirandola, oltre all’Università di Bologna.
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