Per un patto pubblico-privato contro la pandemia/1

Marco dal Brun, coordinatore Settore Sanità Confindustria Veneto e Componente Gruppo Tecnico Scienze della vita Confindustria nazionale, è l’interlocutore ottimale per affrontare i temi dell’emergenza sanitaria in chiave sia di effetti economici che di risposta imprenditoriale nell’ambito della salute e della cura.

Certamente non eravamo pronti a una lievitazione del consumo di prodotti biomedicale così improvviso e così intenso. Allo stesso tempo, guardando al mondo dell’impresa produttiva, i tempi di reazione sono stati velocissimi. Le macchine e i camici protettivi sono arrivati nel tempo di due/tre mesi. Del resto quello che è accaduto era assolutamente imprevedibile. Ma quello che si può affermare con certezza è lì dove c’è stata desertificazione industriale, non è arrivata una risposta. Lì dove rimane industria, e orgogliosamente, c’è lo spazio per riconvertire e adeguare, anche con rapidità impressionante ai nuovi bisogni.

Per competenza associativa e manageriale sviluppiamo dunque la questione dei servizi. La crisi che stiamo attraversando è non solo nuova come caratteristiche e dimensioni, ma ha anche mostrato tutte le criticità pre-Covid del nostro sistema oltre alla virtuosità di certi modelli regionali.

Dobbiamo vedere in che modo la crisi è un’occasione. È un’occasione per integrare meglio sia sanitario e sociale, sia pubblico e privato. Si prospettano due scenari, e non sono rigidamente alternativi: nel primo il privato può supportare il pubblico rimanendo strumentale; nel secondo può anche avere opzioni diverse, che non solo non danneggiano il pubblico, ma lo sollevano da responsabilità in parte improprie in parte inutilmente invadenti e distrattive di risorse. Come abbiamo tutti toccato con mano c’è stata una solidarietà spontanea per far convergere le diverse competenze, con alcune strutture private disponibili sia nella fase acuta della pandemia sia per il post Covid per altre esigenze sanitarie. È questo aspetto dell’iniziativa sanitaria privata che si rivela particolarmente preziosa in un momento in cui sta crollando la prevenzione delle patologie non acute compresa l’oncologia. Nella fase di maggiore stress sanitario da pandemia, noi privati abbiamo anche trasferito al Servizio Pubblico, senza oneri, personale e tecnologie.

L’esplosione della seconda ondata che cosa comporta in questa divisione dei compiti e convergenza tra sistema pubblico e offerta privata?

Si potrebbe rafforzare il ruolo dell’offerta privata nelle aree terapeutiche e negli spazi fisici disponibili a supporto del Sistema Sanitario Pubblico quasi totalmente assorbito nel contrasto alla pandemia, sia per la prevenzione del contagio che per l’allerta precoce dei contagiati, l’isolamento cautelativo e la cura immediata dei sintomatici. Gli spazi fisici sono le strutture ospedaliere dismesse, ma non fatiscenti al punto da poterle ripristinare nel giro di dieci giorni. Le conosciamo tutti, da Monselice a Schio. L’offerta privata ha sia le equipe pronte, sia l’organizzazione immediatamente localizzabile in questi spazi. Con budget convenzionati si potrebbe impiegare per smaltire le liste di attesa in ambiti di diagnosi e cura che si sono formati per gli impedimenti indotti dal COVID al SSR.

A che ambiti si riferisce specificatamente?

Penso alle chirurgie e alle attività ambulatoriali in particolare dove disponiamo di risorse organizzative e professionali. Mentre in passato il rapporto tra la sanità pubblica e quella privata era spesso a somma zero, in cui si “sfruttavano” a vicenda per economizzare a cottimo la prima e ritagliarsi spazi incerti di speculazione la seconda, ora ci sono le condizioni ottimali per una collaborazione a somma positiva. Ma questa si realizza solo quando si individua correttamente la governance della regolazione delle relazioni, che non può essere la singola ULSS, ma deve essere la Regione come soggetto generale.

Come si potrebbe ottimizzare questa relazione tra pubblico e privato?

Prima va definito con precisione il perimetro strategico che rimane in mani assolutamente pubbliche, ed è quello che possiamo definire come l’area etica della sanità: le terapie ad alto costo, i trapianti, l’oncologia, le malattie rare. Sono gli ambiti in cui serve un obbligo di terzietà per non discriminare i cittadini rispetto alle disponibilità economiche. Dove c’è spazio per il privato e, senza scandalizzarsi, per il guadagno? Dove il privato conviene al sistema pubblico perché realizza economie di scala che fanno risparmiare la spesa complessiva.

Uno degli aspetti più sensibili in questa convergenza proficua che si può disegnare è il mercato del lavoro, le competenze, le professionalità, le risorse umane.

In questi mesi girava la battuta che le case di riposo sono state depauperate di personale dalle case di cura che, a loro volta, sono state oggetto di selezione da parte degli ospedali. Una battuta che rivela una triste realtà: in termini di personale c’è un ritardo strutturale, pre-Covid, di almeno dieci anni. La causa più importante risiede nel rapporto tra scuola, Università e lavori in ambito sanitario. La sottoscrizione tardiva del contratto è un altro sintomo della scarsa attrattiva del settore. Ora, finalmente, sono aperti concorsi di grande livello. Come rappresentanti delle imprese private due anni fa, al Bò, abbiamo rilanciato il progetto delle scuole delle professioni sanitarie. In ogni caso vanno rafforzate le relazioni tra le scuole e le imprese. Ma non solo. Va coordinata e gestita in modo manageriale, accurato e sistematico, la strategia di attrazione dai mercati del lavoro professionale internazionale. Ora è poco strutturata e casuale. Il Ministero dovrebbe avere una divisione specializzata per la certificazione dei titoli, l’equipollenza ecc…

Questa strategia attrattiva non va anche affiancata da un più attento accompagnamento domestico di chi si forma in Italia e poi emigra per ricercare soluzioni professionali più allettanti?

Certamente, anche se la scarsa attrattività nazionale dipende in larga misura anche da incrostazioni baronali e burocratiche del nostro sistema universitario e amministrativo.

E in materia di proprietà delle imprese, qualcuno osserva con torva contrarietà il fatto che molte realtà della sanità privata anche qui in Veneto sia state acquisite da tedeschi, austriaci o svizzeri…

Quella dell’invasione è una favola metropolitana. Osservo il fenomeno sul piano strettamente meritocratico. Sicuramente il lavoro qualificato, i servizi, il know-how rimangono qui; il danno vero è la tassazione degli utili, di cui beneficiano altri lidi e non l’erario nazionale. Però, se posso dire, queste acquisizioni nel 90% dei casi sostituiscono un’imprenditoria demotivata, spenta, che dopo aver sfruttato la fase dei margini generosi, si è ritratta di fronte agli investimenti, all’aggiornamento e all’innovazione. In questi casi se arrivano nuovi investitori ben venga, si tratta di una evoluzione migliorativa. Oltre tutto, dove fertilizzano capitali anche esteri, non si riducono ma aumentano i nuovi spazi imprenditoriali nel settore, in una logica distrettuale o ecosistemica. Le quote dell’accreditamento vanno a chi merita, con un effetto di svecchiamento e di vivacizzazione. Tutto ciò premesso ci sono in Italia delle eccellenze, tra cui annovero il Gruppo Garofalo Healthcare (GHC)per cui lavoro, che hanno capacità, visione e sanno attrarre i talenti.

Completando la rassegna delle risorse finanziarie da convogliare nell’offerta sanitaria integrata, che cosa si potrebbe migliorare nel funzionamento dei Fondi pensione o sanitari integrativi per destinarne quote importanti nel sistema reale?

È un altro asset importante per il quale ho collaborato a un importante position paper Confindustriale sull’argomento, che ha ispirato una sperimentazione che potrebbe comportare degli sviluppi davvero significativi, sia per la contrattazione che nella politica dei rendimenti dei Fondi. Attraverso la sinergia di queste fonti, infatti, si possono destinare risorse consistenti per due attività con sempre maggiore domanda nel nostro Paese: la prevenzione e il Long Term Care per la non autosufficienza.

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